Jesus Is My King, Lord And Saviour

giovedì 23 dicembre 2010

Ragazzini

In quest'ultimo anno mi è capitato di lavorare 12, 14, 15 o anche 18 ore di fila.
Ma tante ore non mi hanno stancato come la festa del mio fratellino. 20 ragazzini per casa da accudire e fare divertire... è stata un'impresa epica.

venerdì 17 dicembre 2010

The WIP Novel. Part 4

Si svegliò fra le lenzuola soffici del suo letto a due piazze. Ci mise un po' di tempo per riconoscere McKenzie, lo speaker radiofonico di Boston's Classic Rock che ogni mattina lo svegliava insieme al collega Karlson. Ascoltava quei due ogni mattina ma solo per poco, il tempo di alzarsi dal letto, raggiungere il mobile in rovere sbiancato e disattivare la radiosveglia. Poi, tutte le mattine, attivava la filodiffusione. In genere subito dopo il risveglio e poi mentre faceva colazione, si radeva, si lavava e vestiva gradiva la musica energica. Che fosse Die Walküre di Wagner o Back in Black degli AC/DC non cambiava molto.

Quella mattina fu diverso però. Fermò le chiacchiere inutili di Karlson e McKenzie e si diresse in bagno. Fece la doccia, si vestì e dopo aver preso un lungo caffè nero e aver lavato i denti uscì. Chiunque dei suoi amici l'avesse visto in quel momento si sarebbe un po' stranito. Non lo si vedeva in giro con la barba di due giorni dai tempi del liceo.

Mentre l’ascensore lo portava giù al piano terra, James W. Scott Young era immerso nei pensieri. Un forte senso di colpa lo appesantiva e gli procurava un fastidio fisico all’alto addome. Era sempre stato così, fin da quando era piccolo, qualunque sensazione negativa la somatizzava con quel fastidio. Adesso aveva bisogno di scaricare in qualche modo quella tensione. La sera prima, tornando a casa in taxi, aveva visto un luogo dove voleva andare. E decise di farlo quella mattina.

Arrivò al piano zero e percorse l’elegante atrio fino alla grande porta circolare. Una volta fuori, si rivolse all’uomo alto alla sua destra che vestiva con una divisa che tradiva la sua professione. Era il portiere dello Scott Young & McDonnelly Building.
“Buongiorno Mr. Scott”.
“Buongiorno Matt. Esco in taxi. Dovrebbe arrivare un pacco da NewYork prima di pranzo. Lo prendo quando torno, stasera oppure domani. Buona giornata.”
“Buona giornata signore”.

Scese i gradini del lussuoso palazzo a Downtown, e chiamò un taxi.
“600, Columbus Avenue”.
Il tassista rispose con un cenno della testa mentre bofonchiava qualcosa di incomprensibile. Il taxi si incanalò in mezzo al traffico. Il breve viaggio durò circa il doppio della sera prima. Giunto a destinazione, indugiò sul marciapiede di fronte alla costruzione in mattoni rossi. La osservò nella sua totalità, con il timpano centrale sovrastato dalle due guglie ai lati. Pensò che doveva avere parecchi anni. Si decise ad attraversare e giunto davanti all’ingresso quell’impressione fu confermata da una targhetta: “Founded 1796”. Un’altra targa più grande identificava quell’edificio come “A.M.E. Zion Church”.

All’interno era come se l’era aspettato. Tre file di panche di legno scuro non miglioravano la scarsa luminosità degli interni. In fondo c’era un pulpito fatto con lo stesso legno, su un piano sopraelevato al quale si accedeva da 5 gradoni sia a sinistra che a destra. Sullo stesso piano del pulpito, più indietro, si trovava una tribuna di legno la cui struttura lasciava intuire la sua funzione: accogliere il numeroso coro gospel. Sulla sinistra si vedevano gli strumenti musicali.

Entrò con timidi passi e si accorse che non c’era nessuno se non 2 donne intente a spazzare il pavimento. Chiese loro dove fosse il confessionale ma gli spiegarono che lì non c’era nessun confessionale ma che se aveva bisogno di sfogarsi poteva parlare con il Reverendo Gordon. In un primo momento rifiutò e, ringraziando, si diresse verso l’uscita. Poi tornò indietro e chiese alle donne di accompagnarlo all’ufficio del Reverendo. La più anziana delle due lo condusse lungo un corridoio luminoso, con una moquette chiara ma pulita, al quale si accedeva da una porta lungo la parete destra della chiesa.

La donna si fermò e gli indicò l’ultima porta a sinistra. Si trovò davanti ad una porta in legno robusta ma semplice. Una targhetta dorata diceva Rev. L. Gordon. Bussò e una voce femminile lo invitò ad entrare. Si trovò davanti una grossa scrivania in legno chiaro dietro la quale stava una donna sulla quarantina, dal volto paffuto e sereno. Corti capelli macchiati d’argento le conferivano un aspetto vissuto. Doveva di certo essere un punto di riferimento per i membri della comunità nera di Boston.

Il Reverendo alzò gli occhi dal suo portatile e con un sorriso cordiale lo invitò ad accomodarsi. “Salve Reverendo Gordon, mi chiamo James”.
“Buongiorno James, puoi chiamarmi Lisa”.
Iniziarono a parlare e lui iniziò a raccontarle parecchie cose di sè. Più di quanto avesse previsto, tanto da dargli l’impressione di trovarsi nel bel mezzo di una seduta dallo strizzacervelli. Rifiutò poi questo pensiero perché si rese conto che stava bene mentre parlava con quella donna e non provava quel senso di inquietudine che aveva avuto le due volte in cui aveva tentato la via dell'analisi. Lisa sapeva bene ascoltare ma sapeva anche parlare, fare sentire a proprio agio. Non dava l’impressione dell’accusatrice, ma si porgeva con piglio materno.

Dopo poco meno di un’ora Lisa si scusò ma disse di avere un appuntamento.
“James, mi spiace tanto ma devo andare. Se ti va possiamo vederci stasera. Alle 21 abbiamo un servizio, ci sarà della musica. Potresti venire alle 20, così potremmo fare quattro chiacchiere”.
“D’accordo Lisa. Grazie tante. A stasera”.

Un James un po’ rinfrancato uscì dalla chiesa, contento di esserci andato. Prese il telefono, chiamò Patricia e poi andò al Boston Medical Center a trovare un amico a cui dovevano applicare una piastra in carbonio al perone. Mangiò un boccone al Burger King di Harrison Avenue, acquistò presso una libreria lì vicino l’ultimo libro di Dan Brown e si diresse verso il Madison Park. Passo lì tutto il pomeriggio di quella bella giornata primaverile. Lesse una buona parte del libro e si mise un po’ a girare per il parco. Gli parve di vedere Kathleen, ma si disse che non poteva essere lei. Si ricordò che più volte durante il giorno aveva visto un uomo strano. L’aveva visto tutte le volte di spalle e la cosa strana era il lungo giubbotto scuro, fuori luogo vista la stagione. Non era normale, ma del resto la normalità è sopravvalutata.

Prese un bus ed arrivò fino alla fermata tra Tremont Street e Hammond Street. Proseguì a piedi su Tremont e voltò a sinistra su Daveport Street. Doveva percorrere solo quella piccola strada e si sarebbe trovato nuovamente su Columbus Avenue. Guardò il suo Longines che segnava le 19.38. In pochi minuti sarebbe stato di nuovo presso l’ufficio di Lisa.

Ma non sapeva che non avrebbe mai più visto quel posto. A metà di Daveport Street, sulla destra, si trovava un parcheggio alberato. L’aveva appena superato quando sentì provenire da Colombus Avenue il suono di un mezzo dei vigili del fuoco. Poco dopo sentì dei passi alle sue spalle. Furono l’ultima cosa che sentì. Un violento colpo alla testa lo stese e cadde a terra. Un uomo con un lungo cappotto nero lo trascinò dietro un grosso albero e a fatica caricò il corpo inerme di James dentro il bagagliaio di una vecchia Cadillac.

Il Reverendo Lisa Gordon attese invano quell’uomo così forte e così fragile. Non sapeva che l’incontro di quella mattina l’avrebbe segnata per sempre.

mercoledì 15 dicembre 2010

iPhone IV


Allo stato attuale, se uno vuole prendere l'iPhone 4 senza sborsare un occhio della testa, può sottoscrivere un abbonamento. Secondo le mie esigenze il più conveniente è il TOP 400 di 3.

29 Euro al mese per 24 mesi. In cambio ti danno:

- Un iPhone 4 da 16 GB
- 400 min/mese di telefonate verso tutti, senza scatto alla risposta.
- 100 sms/mese verso tutti
- 2 GB/mese di navigazione

Un'ottima offerta devo dire. L'unico problema è che il negozio più vicino che non mi abbia rimandato a dopo le feste si trova niente popò di meno che a 73 chilometri di distanza da casa.

Ecco, proprio a Caltagirone... vi dirò se andrò o no.

Update 16/12 ore 18.52: sabato mi attende della gente a Caltagirone.

Update 2: i miei amici mi stressano dicendo che il 16GB si esaurirà in fretta. Non mi importa... prendo il 16 e non do i 100 euro di anticipo.

L'attualità di un genio

martedì 14 dicembre 2010

Fiducia

B. ce l'ha fatta. Sfruttando il bandieruolismo di 3 deputati di Fli o acquistandone le simpatie... ma ce l'ha fatta.

Nun te reggae cchiù

lunedì 13 dicembre 2010

Aperture

Feltrinelli a Catania ha aperto un bel negozio su 2 piani, molto grande e parecchio fornito. Dentro si respirava una bella aria. L'ho visitato approfittando di un pomeriggio libero, in compagnia del mio caro amico Brian. Chiaramente non potevo andarmente a mani vuote. Vediamo un po' cosa esco dalla busta di carta riciclabile:

Piccolo manuale sulle basi del linguaggio di programmazione C.


Prequel de "Il Signore degli Anelli"


Primo titolo della trilogia dello svedese Larsson


Il romanzo distopico per eccellenza


Li ho comprati non con l'intento di riempire la libreria ma per leggerli. Si aggiungono ai libri attualmente in lettura:

- Cos'è successo all'adorazione di Tozer, edito da Verso la Meta.
- Segnali indicatori della vita di Rudi Lack.

Solo adesso mi accorgo che tutti hanno del rosso in copertina... vorrà dire qualcosa?

The WIP Novel. Part 3

Schiacciò il pulsante di prenotazione dell’ascensore. Il display indicava che sarebbe partito dal sesto piano per scendere al secondo. Allora lui valutò che era il caso di fare le scale a piedi. Le scese con calma, una calma innaturale visto il momento. Si disse che quella doveva essere la quiete dopo la tempesta. Ma ignorava che la vera tempesta doveva ancora arrivare. Fece un cenno con la mano a Jeremy, il cordiale portiere del palazzone al 650 di Columbus Avenue, South End.

Uscito dal palazzo, voltò a destra, in direzione nord, verso Downtown. Si fermò qualche civico più avanti ed entrò dentro un Take Away gestito da cingalesi dove un profumo molto intenso prometteva un ottimo Falafel. Prese l’involto dalle mani di un ragazzo che ad occhio e croce non aveva ancora 20 anni e alla cassa ricevette poco meno di 2 dollari di resto. Trangugiò il suo Falafel poggiato su una mensola a muro di quel piccolo locale. La Coca Cola fredda lo aiutò a mandare tutto giù in fretta. Alla sua sinistra era seduta su un alto sgabello una ispanica sulla trentina, molto bella ma per niente curata. I suoi capelli erano unti e i suoi vestiti non emettevano un buon profumo. Pensò che probabilmente anche se la ragazza si fosse fatta il bagno dentro l’ultimo di Dior non l’avrebbe sentito. In quel posto qualsiasi odore che non provenisse dalla cucina, veniva miseramente annichilito.

Gettò l’immondizia dentro una piccola pattumiera accanto all’uscita e lasciò il Take Away. La ragazza ispanica gli ricordò che aveva una chiamata da fare. Prese il Blackberry e, premendo due volte la cornetta verde, mise in selezione l’ultimo numero chiamato. “Pronto ciao, sono io. Tutto fatto ma stasera voglio stare un po’ da solo”. Dall’altra parte della cornetta Patricia non parve né sorpresa né infastidita. “OK, ci sentiamo. Dovresti trovare una mia e-mail. Bacio”. “Bacio” e riattaccò.

Con Patricia si erano conosciuti ad una giornata di beneficenza al parco. Kathleen era lì con alcuni amici per vendere all’asta alcuni oggetti realizzati a mano. Lui era andato a fare un giro e ad un certo punto, a pochi metri da un gruppo di giovani che ballavano la capoeira al ritmo di allegre percussioni e di uno strano strumento fatto con una zucca, una canna e un filo, vide di spalle una donna con in braccio un bimbo. Quella donna guardava impotente il passeggino che ruzzolava giù lungo una collinetta che portava ad un laghetto con i cigni. La donna però non sembrava molto preoccupata. Lui comunque non ci pensò due volte: corse verso il passeggino e lo fermo prima che andasse a sbattere contro un albero. Lo portò alla donna. Sembrava portoricana o cubana e aveva in braccio una bellissima bimba di pochi mesi. Anche la donna era molto bella, seppure piuttosto bassina. Si presentarono, lei lo ringraziò e gli offrì un chewing gum. Lui lo accettò, la ringraziò e tornò dalla sua Kathleen.

Si rividero poco meno di un mese dopo in un minimarket di Telegraph Hill. Lui era andato lì per risolvere una faccenda ed era entrato per acquistare una confezione di cerotti. Lei era lì con la bimba sempre in braccio ed un sacchetto abbastanza pesante, aveva appena pagato dei pannolini, degli omogeneizzati, e qualcosa per il pranzo. Patricia lo aspettò e lui, per ricambiare la cortesia si offrì di accompagnarla e portare il suo sacchetto. Lei viveva in una casa indipendente non molto grande ma ben curata a due isolati dal mini market. Ci viveva insieme alla piccola Lily e a Bud, un batuffolino di pelo chiaro, un cucciolo di golden retriever che al parco non aveva visto. Era uscito dopo pochi minuti, non prima di aver preso un caffè e aver scritto il suo nome e il suo numero sul blocchetto attaccato ad un grande frigorifero.

Lei lo aveva chiamato tre mesi dopo, quando lui quasi nemmeno si ricordava più. Iniziarono a sentirsi e vedersi spesso. Patricia gli piaceva molto e con Kathleen le cose non andavano benissimo. Parecchi mesi di convivenza ormai gravavano sulla sua vita, si chiedeva spesso perché avesse accettato di andare a convivere e ogni volta si rispondeva facendo spallucce. Si diceva che Patricia era arrivata al momento giusto.

Si riprese dai suoi pensieri quando notò una colonna di fumo che saliva in cielo da dietro delle case dall’altra parte della strada. Attraversò la strada e voltando a sinistra e poi di nuovo a sinistra trovò l’origine di quel fumo. Un cassonetto dell’immondizia stava bruciando. Ne approfittò per buttarci dentro un paio di guanti in lattice avvolti attorno ad una boccetta di vetro trasparente che aveva nella tasca interna della giacca.

Tornò a passo normale sulla strada principale. La attraversò nuovamente e si mise fermo sul marciapiede in attesa di un taxi. Ne passò uno poco dopo, lo fece fermare con un gesto e gli disse la destinazione. Il taxi partì in direzione Downtown. Dopo pochi istanti notò sulla destra una costruzione con i mattoni rossi. Una croce svettava su tutto e una stella di Davide era disegnata su un rosone in alto.

Pochi minuti dopo scese dal taxi ed entrò in un alto palazzo, prese l’ascensore ed arrivò alla sua dimora: un grandissimo appartamento lussuosamente arredato con una vista panoramica mozzafiato. Entrò in bagno, aprì il miscelatore dell’acqua della Jacuzzi e subito dopo entro nella doccia. Era una sua fissazione, non riusciva a fare un bagno senza aver fatto la doccia prima. Rimase più a lungo del normale sotto la doccia, ma il senso di colpa non lo lasciava. Così uscì dalla porta in vetro semi opaco del box doccia ed entrò nella Jacuzzi.

Si sdraiò e con il braccio sinistro prese da uno sgabello il telecomando della filo diffusione. Selezionò il CD 8 dal caricatore e si godette l’idromassaggio cullato dalle note di Miles Davis. Ripensò a Katy. Prese il cellulare e compose il numero di lei. Un messaggio preregistrato della AT&T gli comunicò che il cellulare di Kathleen era spento. Pianse a lungo in preda al senso di colpa.

Nel frattempo nell’appartamento 23 al secondo piano del palazzone al 650 di Columbus Avenue, tutto taceva. Solo la TV, ancora sintonizzata sulla CNN, emetteva il suo lieve ronzio.

Fine terza parte

sabato 11 dicembre 2010

Hai visto mai

E mentre il mondo si chiede come finirà con Assange e Wikileaks. Mentre in Italia c'è il calciomercato parlamentare per la fiducia del 14. Mentre tutto il mondo si prepara all'ennesimo Natale consumistico lasciandone da parte il vero significato. Mentre tutto questo e molto altro accade sotto questo cielo...

...una cosa partita per gioco mi ha stuzzicato. L'idea di un romanzo Work in Progress mi stimola. Vediamo cosa ne verrà fuori.

venerdì 10 dicembre 2010

The WIP Novel. Part 2

Lei si era già insaponata e sciacquata. Era pulita e sarebbe potuta uscire dalla doccia già da qualche minuto. Invece provava sollievo a stare lì, sotto quel getto caldo. Era nervosa, sapeva che quella sera avrebbe detto la verità sul suo rapporto con lui. O tutto si sarebbe rotto o sarebbe stato un nuovo inizio. Si sentiva stupida per avergli aperto, per essere stata con lui, per averlo accolto e implicitamente perdonato. Si sentiva felice però all'idea che quel piccolo sacrificio avrebbe significato continuare a condividere la vita con lui.

Si disse che c'era una grande forza nel perdono. Certo, apparentemente perdonare un tradimento può essere sinonimo di debolezza; per lei tuttavia era l'occasione per mostrare forza, carattere. Stava molto meglio mentre acqua e pensieri scorrevano caldi e la purificavano. Tutto era chiaro. Era stato un anno di convivenza felice con quell'uomo che aveva desiderato per mesi. In barba ai pareri delle amiche l'aveva corteggiato, l'aveva fatto cadere ai suoi piedi. Prima di accettare di andare a vivere insieme però aveva atteso che giungesse il divorzio di lui da sua moglie.

Mentre i tipici rumori di una cena in preparazione giungevano dall'angolo cottura, e un profumino niente male si spandeva nell'aria, lei si ritrovò inspiegabilmente pervasa da un entusiasmo ingiustificabile vista la situazione. Chiuse il getto della doccia, e uscì avvolgendosi in un accappatoio un po' stinto e di qualche misura più grande. Mentre si asciugava e rivestiva, si ritrovò, se non a giustificare, a dare una spiegazione a quella scappatella. Era stato un week end di follia. Gli uomini tradiscono solo col corpo. Si fece animo, era pronta per affrontare quella tempesta. Ne sarebbero usciti vincenti, felici, insieme.

Era sempre fastidioso l'asciugacapelli. Non tanto per il rumore, quanto per il tempo che ci impiegava a terminare il lavoro. Con quel rumore di sottofondo e le immagini dell'aeroporto di New York che scorrevano sulla CNN, attendeva con impazienza che lei uscisse. Aveva ritenuto opportuno posticipare la discussione ad un momento più tranquillo, e questo lo era. Non lo era certo qualche ora prima quando lei, alla faccia della vecchia decrepita, gli aveva aperto e lo aveva invitato ad entrare.

Il cigolìo della porta del bagno annunciò l'arrivo di Kathleen. Era bella come lo era sempre stata. Anche così, con abbigliamento casalingo. Pantaloni in lino marrone a strisce verticali bianche e verde militare, canottiera bianca, capelli raccolti in una coda di cavallo mantenuta da un elastico nero che faceva pendant con la montatura degli occhiali. I capelli erano di un castano chiaro ben abbinato al colore delle sue leggere lentiggini. Gli occhi non erano molto grandi ma lo sguardo era profondo, i lineamenti dolci ma decisi. Non arrivava al metro e 70 ma la sua linea era slanciata.

Kathleen uscì dal bagno e si ritrovò a pochi passi dal tavolo dove di lì a poco avrebbero consumato quella squisita cenetta e parlato su come ricucire quel piccolo strappo.

- "Ah si scusa, gli altri piatti sono nella lavastoviglie. Sai, non tornavo da mesi, ho preferito lavare tutto. Sai la polv..."
- "So dove sono i piatti"
- "E allora?"
Lui non rispondeva, qualcosa non tornava rispetto al quadretto che aveva immaginato sotto la doccia.
- "Ma come mai non ceni? Non hai fame? Ma allora perchè hai preparato solo per me? Avrei potuto accontentarmi di un sandwich"
- "Io non ceno qui, non ceno con te."
- "Devi vedere John?"
- "Non sono affari tuoi. Da oggi è tutto finito Kathleen."

Kathleen, l'aveva chiamata Kathleen. Non poteva crederci. Il cuore fece un balzo, batteva all'impazzata. Stava succedendo qualcosa di grave, tragico.

- "Calmati, parliamone. Vieni qua ascolta, ora noi ceniamo e discutiamo, vedrai che una soluzione si trova. Risolveremo tutto. Ce la facciamo insieme, come sempre. Ricordi?"
Mentre Kathleen parlava, lui mise la giacca e prese la sua borsa.
- "Dove stai andando? Non puoi, aspetta. Stammi un attimo a sent..."
- "Io non voglio starti a sentire! E' finita. Ti ho tradito!"
- "Lo so! Ma non importa, ti perdono. Io voglio..."
- "Io... io... io... ma chi sei? Chi ti credi di essere. Al centro di tutto! Chi te l'ha chiesto il perdono? Io ti ho tradito perchè non voglio più stare con una che ha se' stessa come centro del mondo. E' tutta colpa tua se è finita, io ci tenevo a noi. Non mi devi cercare mai più. Non è una crisi momentanea. E' tutto ben ragionato. Se hai bisogno di soldi non mi cercare. Non abbiamo figli, siamo adulti e vaccinati. Fatti la tua vita, non hai motivo per cercarmi. Buona vita Kathleen". Le diede un bacio sulle labbra e si avviò. Labbra che, era sicuro, non avrebbe mai più incontrato . Quelle labbra erano umide e salate. Lacrime. Lui aveva dimenticato il sapore delle sue. Chiuse con delicatezza la porta, e percorse la strada che qualche ora prima aveva percorso la vecchiaccia. E quasi avrebbe voluto rivederla per darle il più cattivo dei sorrisi.

Kathleen era una donna distrutta. Passò delle ore a pensare a quelle parole... E' tutta colpa tua se è finita, io ci tenevo a noi. Non mi devi cercare mai più. Non è una crisi momentanea. E' tutto ben ragionato... Non aveva nemmeno pensato a quella possibilità, alla possibilità che fosse colpa sua. Il senso di colpa fa male. Quando arriva, inaspettato, violento come un temporale, è devastante. Sprofondò in un vero e proprio panico. Tutto era finito. Mangiò, quasi senza masticare, 2 fette di carne e bevve mezza bottiglia di vino. Dopo di ciò andò in bagno, aprì l'ultimo cassettino della specchiera e ne tirò fuori un flacone marrone col tappo bianco. Mise in mano 6 pastiglie bianche e rosse che, accompagnate da un sorso abbondante di vino rosso dozzinale, andarono a fare compagnia alla carne.

Kathleen non aveva nemmeno pensato all'eventualità che lui avesse potuto mettere qualcosa nel cibo o nel vino. Figurarsi. Si gettò di peso sul letto. L'ultima cosa di cui si rese conto fu il cuscino che si avvicinava troppo rapidamente al suo viso.

Fine seconda parte

giovedì 9 dicembre 2010

The Wip Novel. Part 1

"Boom boom boom"... "Boom boom boom"... "Apri ti ho detto!".

Il toc toc non c'era più da un po', se ne era andato insieme alla pazienza. Ogni pugno che lui assestava sulla porta numero 23 di quel corridoio provocava dei sussulti. Nelle fibre legnose che la componevano ma sopratutto nel cuore di lei. Lei era li, seduta con le spalle appoggiate a quella porta, le gambe raccolte in posizione fetale, mantenute strette al corpo dalle mani intrecciate davanti alle ginocchia. Ormai il suo cuore batteva all'unisono con i Boom Boom Boom sulla porta.

Si era fermato per un minuto. Il suo cuore. E il Boom Boom Boom. Si era fermato perchè dalla porta numero 30, in fondo a destra, era uscita una vecchiaccia buona per la rottamazione. Veniva verso di lui con un'altezzosa aria interrogativa. Ma passò oltre e non lo degnò di una parola, ma solo di un intenso sguardo di riprovazione.

Dopo di che la vecchiaccia decrepita svoltò a destra, dirigendosi verso le scale o l'ascensore.

"Boom boom boom"... "Boom boom boom"... "Apri ti ho detto!".
- "Non ci penso nemmeno, vattene, ti prego."
- "Apri, ne parliamo con calma."
- "Quale calma!", era evidentemente preda di una tempesta di sentimenti diversi.
- "Tu apri che io mi calmo... Dai forza non fare la bambina..."
- "Ma io sono la TUA bambina". Disse questa frase singhiozzando ma evidenziando volutamente quel "tua". Era la sua bambina. Si sentiva di esserlo. E non bastava una qualunque a mettersi fra lei e lui.

Lui a quel punto pensò di aver vinto. Smise di picchiare sulla porta. Un sorriso beffardo si stampò sulla sua faccia rude, non più giovanissima. Mentre cantava vittoria dentro di se', sentì la toppa fare uno scatto e la porta schiudersi. In barba alla veemenza usata prima, non entrò subito. Adesso era lui a condurre il gioco, ma decise di farle credere il contrario.

- "Puoi entrare". La voce uscì flebile dall'appartamento al secondo piano di un palazzone nella immediata periferia di Boston.

Lui aprì la porta, entrò e se la richiuse alle spalle. Era calmo.

La trovò rannicchiata sulla poltrona beige che era stata voltata verso la finestra. Era una poltrona nuova e in quel trionfo di roba vecchia stonava un po'. La raggiunse e si pose con il fondoschiena appoggiato sul davanzale della finestra, dritto di fronte a lei. Il sole del tramonto proiettava la sua ombra lunga su di lei, sulla potrona, sulla polverosa moquette verde, fino alla parete. Boston era sotto un cielo stupendo, un tramonto che sembrava disegnato. Per dimostrare che non sempre piove quando le cose vanno male e viceversa. Quelli sono i film. Questa è vita vera.

Non le disse nulla. Le sfiorò le mani con le sue, poi la invitò ad alzarsi tirandola a se con delicatezza. Lei stava per parlare ma lui la zittì con il suo indice destro. Lei non protestò.

Si strinsero fortissimo, si baciarono, si trasferirono nell'unica camera dell'appartamento. Senza dire una parola.

Fine prima parte

Adorazione

Mi rendo conto che c'è un concetto molto importante e più volte trattato nella Bibbia ma che è un po' una zona d'ombra della cristianità: l'adorazione.

Adorare Il Padre e il Figlio per mezzo dello Spirito Santo. Sono cose forse non semplici per la mente umana, ma di sicuro più accessibili per lo spirito umano.

La richiesta di Gesù è chiara: il Padre cerca Veri Adoratori. E questi sono coloro che adorano in Spirito e Verità.

Il mio obiettivo da aspirante buon cristiano è crescere nell'adorazione anche perchè adorare Lui è quello che i nati di nuovo faranno per l'eternità. Ragion per cui val bene lo studiarsi per iniziare a farlo da oggi. Ieri ho comprato un libro che leggerò a breve e di cui vi parlerò. Tratta proprio il tema dell'adorazione.

Ma lascio parlare la Parola di Dio, ecco un passaggio tratto dal capitolo 5 dell'Apocalisse... libro noto nell'immaginario collettivo per l'aspetto catastrofistico della fine dei tempi. Ebbene, vi invito ad una rilettura scevra da pregiudizi, noterete come questo libro parla molto dell'adorazione e come il tema centrale non sia rappresentato da catastrofi e battaglie ma da una certezza per ogni cristiano del mondo: Gesù ha vinto!

Vidi nella destra di colui che sedeva sul trono un libro scritto di dentro e di fuori, sigillato con sette sigilli. E vidi un angelo potente che gridava a gran voce: «Chi è degno di aprire il libro e di sciogliere i sigilli?» Ma nessuno, né in cielo, né sulla terra, né sotto la terra, poteva aprire il libro, né guardarlo. Io piangevo molto perché non si era trovato nessuno che fosse degno di aprire il libro, e di guardarlo. Ma uno degli anziani mi disse: «Non piangere; ecco, il leone della tribù di Giuda, il discendente di Davide, ha vinto per aprire il libro e i suoi sette sigilli».
Poi vidi, in mezzo al trono e alle quattro creature viventi e in mezzo agli anziani, un Agnello in piedi, che sembrava essere stato immolato, e aveva sette corna e sette occhi che sono i sette spiriti di Dio, mandati per tutta la terra. Egli venne e prese il libro dalla destra di colui che sedeva sul trono.
Quand'ebbe preso il libro, le quattro creature viventi e i ventiquattro anziani si prostrarono davanti all'Agnello, ciascuno con una cetra e delle coppe d'oro piene di profumi, che sono le preghiere dei santi. Essi cantavano un cantico nuovo, dicendo: «Tu sei degno di prendere il libro e di aprirne i sigilli, perché sei stato immolato e hai acquistato a Dio, con il tuo sangue, gente di ogni tribù, lingua, popolo e nazione, e ne hai fatto per il nostro Dio un regno e dei sacerdoti; e regneranno sulla terra».
E vidi, e udii voci di molti angeli intorno al trono, alle creature viventi e agli anziani; e il loro numero era di miriadi di miriadi, e migliaia di migliaia. Essi dicevano a gran voce: «Degno è l'Agnello, che è stato immolato, di ricevere la potenza, le ricchezze, la sapienza, la forza, l'onore, la gloria e la lode».
E tutte le creature che sono nel cielo, sulla terra, sotto la terra e nel mare, e tutte le cose che sono in essi, udii che dicevano: «A colui che siede sul trono, e all'Agnello, siano la lode, l'onore, la gloria e la potenza, nei secoli dei secoli».
Le quattro creature viventi dicevano: «Amen!»
E gli anziani si prostrarono e adorarono.

lunedì 6 dicembre 2010

Osh Gazneher Karenji Bih

Per la serie "Riesumiamo il passato" eccovi questa cosa scritta da me nel giugno 2007:




"Govneher rin marevainer, fieenneskiev ni rubni lochisnehr"

- Che vuol dire?
- Non lo so, sembra qualcosa di antico. Magari è la vecchia lingua dei Burvlin del Nord, visto che questo, ad occhio e croce, dovrebbe essere uno dei torrioni del confine sud.
- Ma cosa cerchiamo ad Ashreqim esattamente?
- Come diceva un vecchio canto popolare, "lo scopriremo solo vivendo".

Se avessero saputo che quell'iscrizione significava "Con tempo e donne, le sorprese non son mai troppe", per loro non sarebbe cambiato gran chè.

Se avessero saputo che, più che un proverbio, era una minaccia, sarebbero stati più avveduti.

Se avessero saputo quanto gravi e attuali fossero le conseguenze di quella minaccia, Kerwi e Vikanje non sarebbero partiti, forse.

5/12

Quando si dice una bella giornata. L'autore del salmo 84 aveva proprio ragione quando scrisse:

Un giorno nei tuoi cortili val più che mille altrove.

venerdì 3 dicembre 2010

Agnese

Devo dire grazie a Brian Farey se ho deciso di pubblicare questa cosa che non so ben descrivere. La scrissi quasi un anno fa, il 13 dicembre del 2009. Ed oggi la condivido in questo mio spazio.

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Custodiscili fino al giorno in cui non sarà più necessario farlo.

Agnese era cresciuta per 23 anni con questa frase in testa. Ogni anno. Ogni mese. Ogni giorno.

Quella frase, detta da suo padre 23 anni prima, quando lei era una bimba molto intelligente di 9 anni, non riusciva a spiegarsela, Agnese.

Adesso si faceva chiamare Sofia. Il suo dio era la conoscenza. Aveva 31 anni, 2 lauree, 1 master e esperienza da vendere. Sofia scriveva. Sofia sapeva. Sofia pensava. Ma non era molto convinta che il cartesiano "Cogito ergo sum" funzionasse sempre. Sofia era invidiata da molti e desiderata da tanti altri. Ma Agnese era morta.

Uscì dall'università dove insegnava Estetica e si fermò al distributore automatico per un caffè. Lo bevve senza degnare di uno sguardo nessuna delle decine di persone che aveva incontrato lungo il corridoio e alla macchinetta. Si avviò verso la macchina, una Mercedes Classe B nuova ma con un'ammaccatura sul portellone posteriore. Durante il tragitto che la conduceva al parcheggio, Sofia accese il telefono. Nemmeno il tempo di rimetterlo in tasca e lo sentì squillare. Un messaggio. Sempre lui. Roberto. Roberto che la amava alla follia, avrebbe fatto tutto per lei. La aspettava da 4 anni senza pensare ad altre donne. Come diceva Lewis “to love is to be vulnerable”. E Roberto era così vulnerabile nel suo amore che lei lo detestava. Ma non aveva il coraggio di dirglielo una volta per tutte. Sofia usava il corpo di Roberto, quando e se ne aveva voglia. Poi spariva per settimane e lasciava lui a morire.

Ma Sofia non aveva un cuore, solo un cervello. Il cuore era morto insieme ad Agnese.

Mise la classe B in moto e riflettè sul messaggio. “Fra mezz'ora, lì dove tutto ebbe inizio”.
Decise che non era sbagliato andare, girò la macchina e partì in direzione periferia.

Custodiscili fino al giorno in cui non sarà più necessario farlo.

Quella frase la straziava. Cosa voleva dire suo padre? Avrebbe avuto un senso se prima di morire le avesse affidato dei fratelli minori, o dei cuccioli di animali domestici. Ma non riusciva a capire il senso di quella frase relativa a 2 stupidi orologi.
Fece una deviazione. Passò da casa, salì gli scalini a due a due, entrò in casa. In camera da letto prese una scatola da scarpe posta sullo scaffale più alto dell'armadio. Ne estrasse un involto di velluto rosso con una clip di chiusura dorata e lo mise nella tasca destra della giacca.

Arrivata a destinazione, parcheggiò su delle foglie secche.
Fu colta da una sensazione che non aveva mai provato. Si era diretta li dove il padre, 23 anni prima le aveva affidato gli orologi. Invece Roberto intendeva un altro posto dove era cominciato tutto. Roberto non poteva sapere. Non sapeva nulla degli orologi, del padre, del laghetto, del suo vero nome. Si diede della stupida, pianse e si girò per tornare verso la macchina. Vide tra gli alberi l'auto di Roberto. Si avvicinò ad essa ma lui non c'era. Non lo chiamò però ad alta voce ma si diresse tra gli alberi verso il laghetto.

Prese l'involto rosso, aprì la clip dorata ed estrasse i due orologi. Come 23 anni prima, uno ticchettava non fermandosi mai. Sofia fu sorpresa di vedere l'altro iniziare a muoversi lentamente, poi via via più veloce fino a prendere il ritmo di 60 movimenti al minuto. La cosa la turbò, migliaia di volte aveva preso quegli orologi in mano e il secondo non aveva mai funzionato.
Sofia iniziò a piangere come non aveva mai fatto. Si inginocchiò vicino al laghetto. Lì il padre la portava sempre prima di morire, e la portò anche la volta in cui gli affidò gli orologi.

Ora era tutto chiaro. Sofia prese gli orologi, li ripose nell'involto di velluto rosso con la clip dorata. Gettò l'involto nel laghetto. Quando le acque dello stesso tornarono immobili lei si sporse per guardare e vide qualcosa che la gettò nel panico. Il suo corpo steso a terra e una bambina che la guardava incuriosita.

Ad un tratto, sconvolta come non mai, distolse lo sguardo dal laghetto e guardò alla sua destra. Era Roberto che le correva a perdifiato incontro gridando “Agnese, Agnese, finalmente... non puoi sapere da quanto tempo ti sto cercando”.

giovedì 2 dicembre 2010

Eddai... nevica!


Quest'anno l'atmosfera natalizia mi è presa bene. Spero tanto che nevichi, magari nelle vie del centro... Un po' di soffice neve che scende lentamente mentre mi do ad un po' di salutare shopping.